venerdì 27 marzo 2009

Un simpatico punto di partenza

Continuo a ricevere, nonostante siano passati già diversi giorni dalla Maratona di Roma, messaggi ed email di amici e conoscenti che si complimentano con me per la bella prestazione, riferendosi soprattutto al fatto di essere arrivato primo fra gli atleti italiani. La maggior parte cercano di farmi riflettere, cercando di farmi capire che non c’è nulla di cui vergognarsi e che il risultato ottenuto non è frutto solo di un destino con me benevolo, ma anche di una prestazione comunque non da gettare via. Ho riflettuto e rifletto ancora su queste parole e su quanto accaduto e, anche solo con il pensiero, un po’ me la rido. Penso a quanto sia buffa la situazione in cui mi trovo, come protagonista incosciente di un evento importantissimo. Ho trascorso anni, almeno 5 o 6, in cui correvo maratone intorno alle 2h20’ con una certa facilità e ricorrenza, ma nonostante tutto non mi era mai accaduto nulla del genere. Non dico nella Maratona più popolata di Italia, ma anche in maratona meno importanti. Ora mi trovo con un 2h28’ che riveste un significato tutto particolare ed unico. Che in qualche modo sarà, o almeno sembrerà, più importante e piacevole di un risultato cronometricamente più valido, ma che confuso tra i tanti, non ha lasciato alcun ricordo, tanto meno positivo. E allora cosa fare? Niente di più di quello che sto facendo già! Cosciente e consapevole di quanto accaduto, mi crogiolo in queste dimostrazione di affetto e stima che sto ricevendo in questi giorni cercando di vedere, come sempre, questo risultato non come un punto di arrivo, ma un simpatico e inaspettato punto di partenza. E comunque grazie a tutti di cuore.

lunedì 23 marzo 2009

Non per merito mio

Non capita spesso, anzi quasi mai, ma a volte il destino ci riserva sorprese e scherzi atipici, ai quali stentiamo quasi a credere. Ci troviamo protagonisti, anche se in modo defilato, di un evento del quale dovevamo essere solo semplici comparse. Questo è quello che mi è capitato nella giornata di ieri alla fine della Maratona di Roma. Non per mio merito, ma sicuramente per demerito altrui (ossia di tutti coloro pur più forti non si sono presentati ai nastri di partenza), mi sono ritrovato primo dei bianchi e ovviamente (o quasi) anche primo degli italiani. Questo ha comportato una premiazione speciale con l’assegnazione di un premio speciale. In realtà la premiazione non è stata effettuata (perché la prima donna italiana, Anna Incerti, era già andata via), ma il premio dovrebbe essermi assegnato e dovrebbe consistere in un viaggio di una settimana in Kenia per una persona con tappa a Eldoret, Malindi e safari finale. Davvero un bel regalo. Ma aldilà di questo, dicevo mi sono ritrovato protagonista per caso. La televisione ha fatto il mio nome, qualche giornale mi ha citato e subito si è sparsa la voce. Così ho ricevuto diverse email, sms, telefonate e quant’altro che contenevano felicitazioni per il risultato ottenuto. A questo punto la mia preoccupazione è stata ed è quella di rassicurare tutti sul fatto che nulla di particolare è stato da me compiuto, ma che tutto è accaduto solo ed esclusivamente per pura coincidenza e che il 2h28’27” non è un tempo così eccezionale, non solo se lo si confronta con quello del vincitore, ma soprattutto con quello di Richard Whitehead, ragazzo inglese amputato a tutte e due le gambe e costretto a correre con delle protesi in carbonio che ha corso in 2h56’45”. Quanto alla gara sono soddisfatto non tanto per il tempo (ben lontano dal mio personale), ma per la capacità dimostrata nell’esser riuscito a venir fuori dalla crisi che mi ha colpito verso il 30° chilometro. Non avrei mai creduto di riuscire a reagire in maniera così positiva e soprattutto di avere ancora tanta energia e grinta da tirare fuori. Quello che ora manca è un po’ di ritmo nelle gambe. Speriamo di arrivarci presto. Un’ultima cosa: erano un po’ di anni che non correvo la maratona di Roma, l’ho trovata molto migliorata, soprattutto per il calore del pubblico. E questo è un ottimo segnale per l’atletica leggera e per tutto il movimento.

mercoledì 18 marzo 2009

Solo il mio pensiero

Ho letto con attenzione tutti i messaggi lasciati sui vari siti da coloro che hanno avuto la pazienza di dedicarsi alla lettura del mio post “100 km corsi con il cuore” e proprio a costoro vorrei dedicare parte del mio tempo. Ringrazio tutte le persone che hanno mostrato comprensione per le cose da me riportate, testimoniando quanto sia importante, anche per loro, l’aspetto emotivo e mentale nell’affrontare una gara di lunga durata come la 100 km. Ma ringrazio ancor di più chi ha avuto la “forza” per affermare che alcuni concetti da me espressi non sono condivisibili a pieno e per questo ha voluto muovere una critica. Ed è con loro che vorrei confrontarmi. Premetto che nel mio scritto mi riferivo solo ed esclusivamente agli attimi che precedono la gara e che solo adesso voglio estendere il discorso a tutta la preparazione. Partiamo dall’aspetto propriamente tecnico. Non credo che si possano paragonare gli studi e le esperienze fatti sulla maratona con quelli della 100 km. Credo che siano pochi i tecnici al mondo che hanno effettuato ricerche approfondite e protratte nel tempo su atleti di alto livello nel campo delle ultra, ancor meno in Italia. Così come sono pochi i libri che trattano in modo scientifico lo studio della preparazione di una 100 km. Poco se ne sa ed il mondo delle ultra è un mondo ancora inesplorato e sconosciuto ai più. A testimonianza di ciò basta comparare la preparazione affrontata da Giorgio Calcaterra, sia per il Passatore 2008 che per il Mondiale, con quella fatta dagli altri atleti della nazionale. Il caro Giorgio ha preparato entrambe le gare con soli due lunghi da 60 km fatti nell’ultimo mese, ma con una gran mole di chilometri alle spalle e con ottimi ritmi sulle gare corte e buoni in maratona. Tutti gli altri si sono affannati in lavori estenuanti e stancanti che hanno portato a risultati ben diversi. Sicuramente meno positivi. Nessuno ha mostrato la forza e la brillantezza di Giorgio, tantomeno la condizione. Certo molto fa l’atleta, ma è proprio questo modo diverso di preparare la 100 km che, probabilmente (anche perché è stato lo stesso Giorgio ad affermare di trovarsi molto meglio con questo metodo), ha consentito a Giorgio di ottenere il primato personale al Passatore ed il titolo mondiale e delle prestazioni diverse da quelle degli anni precedenti. Questo alla faccia di tutti coloro, tecnici ed atleti, che vedono la preparazione in modo completamente diverso, lunga e faticosa come la 100 km. L’altro aspetto è relativo agli psicologi. Non me ne vogliano, non ho nulla contro di loro e contro la loro professione, ma ciò che ho scritto è relegato solo alla mia esperienza e unicamente alla vita sportiva. Personalmente credo che l’intervento dello psicologo si reputi necessario nel momento in cui c’è un problema da risolvere, non ho mai sentito nessuno che si sia recato dallo specialista solo per fare una chiacchierata. Il problema, ovviamente, può essere più o meno grave, ma comunque sussiste. Bene, proprio rifacendomi a questo mio modo di vedere le cose ho espresso l’opinione che mai farei ricorso agli psicologi per avere maggiori stimoli o motivazioni in una 100 km. La corsa per me è puro piacere, il giorno in cui la competizione dovesse trasformarsi in problema, eliminerei la difficoltà alla radice. Semplicemente smetterei di correre o più propriamente modificherei il mio obiettivo. Non sono un professionista del running ed il mio scopo è la sensazione pura, ma non artefatta, e comunque non il tempo o la posizione. Infine, anche se questo me ne duole, vorrei dedicare due righe a chi (per fortuna o purtroppo una sola persona, almeno che io sappia o abbia letto) ha ritenuto opportuno definire il mio atteggiamento un po’ sfrontato, invitandolo a rileggersi tutti i post passati e a ricercare in essi anche solo un riferimento che possa giustificare le sue accuse, ma soprattutto pregandolo di parlare delle sensazioni altrui con maggiore accortezza e rispetto. Grazie.

venerdì 13 marzo 2009

100 km corsi con il cuore!!!

Non sono di certo uno psicologo o comunque uno che ha studiato e studia i processi mentali dell’uomo nella vita sportiva e nelle discipline di endurance. Ma sono sicuramente un ultramaratoneta. Uno cioè che ha corso e corre distanze che superano di gran lunga quella classica di maratona. Per questo non so bene chi fra lo psicologo e l’ultramaratoneta sia più degno di dire cosa rappresenti per la mente umana uno sforzo di questa portata. Quali siano gli elementi che entrano in gioco allorquando si decide di affrontare una sfida lunga come una 100 km. Quali fattori debbono essere tenuti più sottocontrollo e quali possano essere ritenuti decisivi al fine dell’ottenimento della prestazione atletica. Ma credo comunque di poter dire la mia con una certa cognizione di causa. Personalmente ho sempre valutato la fatica che si compie in una 100 km come fatta di due componenti essenziali, diverse e comunque uguali fra loro. Diverse nelle caratteristiche, ma uguali nell’intensità. Mi spiego meglio. Sembrerà paradossale, ma in uno sport come l’ultramaratona il fattore fisico non è tutto e soprattutto non è prioritario. Molto fa l’aspetto mentale ed emotivo, almeno per un buon 50%. Arrivare tranquilli e rilassati all’appuntamento, così come arrivarvi decisi e convinti è fondamentale. La gara inizia ben prima dello sparo dello start e tutto deve filare liscio già nei giorni precedenti l’evento. Ogni elemento di nervosismo comporta un inutile dispendio energetico, che in un lavoro così lungo può fare la differenza nel risultato. Quel risultato ambito e per il quale si sono spesi mesi di allenamento e fatti sacrifici enormi. Non sento più la pressione della gara già da un po’ di anni, mi sveglio la mattina e devo prendere consapevolezza su quello che sarà l’impegno della giornata. Riesco a dormire tranquillo e ogni problema diventa facilmente risolvibile. Così non è per la 100 km. Così non è per il Passatore, così come non lo è stato per il Campionato Mondiale di Tarquinia. Chi mi è affianco lo sa bene. Subisco una trasformazione, quasi radicale, e nonostante mi sforzi di apparire tranquillo la tensione c’è e si sente. E viene trasmessa a tutte le persone più care, che, come me, sperano e sognano che tutto vada per il meglio. Quelle stesse persone che assumono per questo un ruolo fondamentale, strategico. Sono loro le uniche che possono rilassarti e rassicurarti, perché loro ti conoscono meglio di altri e sanno davvero quali sono le necessità, i punti deboli da risolvere e le priorità da affrontare. Non contano i consigli dei tecnici, se non per aumentare la tensione ed il nervosismo. Non contano i consigli degli psicologi, perché fatti di un mondo a loro sconosciuto. Non contano i consigli di tutti coloro che mai hanno corso un’ultramaratona, perché non lo hanno mai fatto neanche con il cuore e hanno sempre creduto e sempre crederanno che il suo risultato è solo una questione di stupide tabelle da seguire.

sabato 7 marzo 2009

Felice come un bambino

Devo essere sincero. Non conosco molte persone che riescono ancora ad emozionarsi come fossero dei bambini. Mi spiego meglio. Non sono così bravo da poter entrare nel cuore di ognuno per poter valutare il livello raggiunto dai propri sentimenti e così stolto da voler stimare dall’esterno l’interno sentire di ogni persona. Il mio riferimento è più banale e riguarda il modo con cui l’emozioni vengono vissute ed esternate, senza vergogna e timore. I bambini in questo sono dei veri campioni, ma questa infinita virtù con il tempo va via via perdendosi. Subentra la razionalità ed il gioco diventa più difficile e complicato. L’apparenza diventa più importante dell’essere e il mostrarsi “debole” agli impulsi del cuore ci fa credere meno maturi e virili. Così vivere a pieno un sentimento senza barriere e confini, senza paure e timori, senza limiti psicologici diventa difficile. Quasi un’impresa ardua. Eppure così facendo si perde la parte più bella del tutto e tutto assume un sapore diverso. Il motivo principale credo sia da ricondurre alla capacità che hanno queste persone di vivere più intensamente ogni cosa e quindi di saper meglio valutare le emozioni altrui. Sanno entrare meglio di altri in questo delicato campo, proprio perché lo conoscono più profondamente, e sanno meglio di altri regalare gioie ed emozioni. Ed è la stessa suggestione che ha colto me quando ho avuto la fortuna di vedermi recapitato il numero di marzo della rivista “Marathon” da parte del mio caro amico Mauro Firmani. Raccontata così l’esperienza potrebbe apparire sterile, in quanto non si conoscono e non si possono conoscere tutti gli infiniti retroscena. Ma è sufficiente dare due particolari. Il primo riguarda l’importante “traguardo” (o meglio punto di partenza) giunto da Mauro nel diventare direttore editoriale della rivista e con tutto ciò che questo comporta, il secondo riguarda il post-it fattomi recapitare sulla prima di copertina del mensile che recita così: “Sei una delle persone alle quali ho avuto più felicità nel comunicare questa notizia. Grazie di essermi amico. Mauro”. La gioia che ho provato è stata grande. Sapere che ci sono persone che ti stimano profondamente e che fanno del rapporto d’amicizia con te un elemento di privilegio ti fa stare bene. Ti fa esplodere dentro sensazioni meravigliose ed uniche. Ti fa tornare bambino. Non credo si debba aggiungere altro. Tutti coloro che in questo gesto riescono a vederci l’infinito sono tra i fortunati che riescono ancora ad emozionarsi e a sapere emozionare, gli altri non avranno mai ali per volare. Un’ultima cosa: grazie infinite a Mauro per lo splendido regalo ed in bocca al lupo per questa splendida avventura.

venerdì 6 marzo 2009

Per amor del vero

Sono solito leggere il sito podisti.net e casualmente mi sono imbattuto nell’articolo “Tra il 13 e il 15 marzo, a Schio (VI) il primo raduno tecnico 2009 degli azzurri di ultramaratona” scritto da Maurizio Crispi come comunicato stampa della IUTA, che riporta l’elenco degli atleti convocati, compresi i "nuovi" inserimenti, con la definizione della specialità di appartenenza (100 km o 24 h). Ho notato, con estremo stupore, che non è stato inserito il mio nominativo. E proprio per questo ci tengo a precisare che la mia assenza nel raduno non è riconducibile ad una mancata convocazione da parte dei selezionatori della IUTA (come si potrebbe dedurre leggendo l’elenco dei convocati), ma ad un atto volontario di rinuncia da parte mia (quanto riportato è dimostrabile attraverso lo scambio di email che c’è stato tra me ed i dirigenti). L’omissione del mio nome non è attribuibile ad una semplice distrazione terminologica (l’aver confuso l’elenco dei convocati con l’elenco dei partecipanti), in quanto nella lista compaiono i nominativi di atleti che non prenderanno parte al raduno. Manca esclusivamente il mio nome. Tale precisazione, se da una parte non cambia la sostanza delle cose, dall’altra fa giustizia sulle responsabilità e le scelte. Visto l’atteggiamento tenuto, non credo sia necessario spendere altre parole sulle motivazioni che mi spingono a non prendere parte al ritiro, ma reputo sufficiente porre l’attenzione sulla poca professionalità e correttezza mostrate ancora una volta dalla dirigenza IUTA nei miei confronti.

Col naso all'insù

Non è simpatico dirlo, ma quest’anno davvero non se ne può più. È stata una stagione da ricordare, ovviamente in negativo. Qui dalle mie parti, ma bene o male in tutta Italia, il maltempo la fatta da padrone, lasciando solo raramente spazio al caro sole. Oltre ai danni che si è portato dietro, con straripamenti dei fiumi e allagamenti vari, si è fatto sentire anche sulla vita all’aperto delle persone in generale e, più nello specifico, di tutti coloro che, come me, hanno il piacere di correre. Ogni qualvolta c’è in programma un allenamento è necessario verificare con tempo le condizioni meteo e guardare continuamente il cielo nella speranza che lasci la possibilità di affrontare l’impegno sportivo senza l’aggravio della pioggia. Personalmente provo maggior fastidio quando devo affrontare un lavoro di qualità, in effetti in questi casi è meglio evitare di correre in condizioni sfavorevoli e rimandare il tutto, mentre per gli allenamenti lenti ho adottato, come molti, la soluzione tapis roulant. Che non è davvero male, perché ti consente di correre all’asciutto e soprattutto di farlo a qualsiasi ora del giorno senza essere costretto a cercare luoghi illuminati o ad indossare lampade frontali. Non è molto che ne possiedo uno. Il primo l’ho comperato ad ottobre del 2005, ma devo essere sincero, oramai non ne potrei fare più a meno. Certo è un po’ noioso ed il tempo sembra scorrere più lentamente rispetto a quando si corre all’aria aperta, ma senza dubbio è uno strumento utile ed indispensabile per tutti coloro che devono adattare lo sport alla vita quotidiana e che con il passare del tempo hanno sempre meno voglia e fantasia di sacrificarsi correndo sotto l’acqua.

giovedì 5 marzo 2009

Male che vada, rallenterò...

Ancora qualche considerazione su Facebook prima di iniziare a lavorare. Avevano ragione tutti coloro che già da un po’ di tempo mi consigliavano di iscrivermi. Si perde un po’ di tempo a “cazzeggiare”, ma si ha la fortuna di scambiare qualche battuta con tutti gli amici che uno ha. E come essere in una grande piazza e poter parlare contemporaneamente ed in comodità con chi si vuole. Anzi meglio. È come abitare in un palazzo che affaccia su una grande piazza. Quando si ha voglia si può decidere di scendere a fare quattro chiacchiere, con la certezza di trovare sempre tutti. Magari non li pronti a risponderti, ma basta avere un po’ di pazienza e saper aspettare. La mia paura più grande e che in questo modo il tempo da dedicare al blog possa diminuire e quindi togliermi la possibilità di tenere aggiornate le mie sensazioni ed emozioni. Il tentativo sarà quello di resistere a questa eventualità. Per il momento va tutto bene. Ne approfitto intanto per dire che domenica, dopo tre anni di partecipazione, non sarò alla Strasimeno. Di questo sono profondamente addolorato, perché ho stretto una certa amicizia con gli organizzatori, ma ci sono due cose che mi hanno fatto scegliere diversamente. La prima è legata al fatto di non avere lunghi sufficienti per correre 58 km, la seconda perché vorrei allungare la distanza in maniere graduale per arrivare non esausto al Passatore di fine Maggio. Quindi il prossimo obiettivo sarà la Maratona di Roma, magari come allenamento. L’intento è di “buttarmi” nel gruppo della Incerti, tirata da un certo Giorgio Calcaterra. Certo le loro condizioni sono migliori delle mie, ma male che vada rallenterò.

lunedì 2 marzo 2009

Tutta colpa dell'Amore?

Quella vissuta ieri è stata una splendida mattinata di sport, con la Roma-Ostia protagonista indiscussa. C’è poco da dire, quanto si mettono su eventi come questo, l’entusiasmo colpisce tutti quanti ed il clima di gioia e di trepidante attesa si respira tra tutti i presenti. È davvero un evento unico nel suo genere, per la folta partecipazione di atleti provenienti da tutta Italia, e non solo, e per il percorso affascinante e scorrevole nonostante le tante insidie. Personalmente è andato tutto alla perfezione ed il risultato finale mi soddisfa moltissimo. Sull’ultimo post avevo scritto che il mio obiettivo era 1h13’ ed invece è arrivato un lusinghiero 1h11’25”, con un tratto costituito dagli ultimi due km in cui il vento fortissimo (ho calcolato di aver perso intorno ai 30/35”) mi ha tolto la gioia di scendere sotto il muro di 1h11’. A questo si deve aggiungere una leggera brezza che spirava contraria sulla restante parte del percorso e che non ha reso le cose facile soprattutto a quelli come me che si sono trovati da soli a doverla affrontare, senza nessuno che ogni tanto desse il cambio. Aldilà di questo, l’emozione più grossa è stata quella di ritrovare tante persone ed amici che non vedevo da un bel po’ di tempo e ripercorrere un tracciato che tante soddisfazioni mi ha donato in passato. Partecipando a questa gara si capisce perché trova così tanto riscontro. La strada corre veloce sotto i piedi ed i chilometri trascorrono quasi senza accorgersene, almeno questa la mia impressione di ieri. Quanto al resto solo alcune considerazioni sulle frequenze cardiache registrate. Come si può vedere dalla tabella del Garmin ho raggiunto a stento i 165 bpm e quasi tutta la gara è stata corsa intono ai 160 bpm, anche quando il ritmo è sceso e di molto sotto i 3’20”/km. A me sembrano un po’ pochi, ma più di questo il mio cuore non riesce a dare. Sarà colpa delle Ultramaratone o del fatto che batte già troppo forte per Amore?