giovedì 26 giugno 2008
mercoledì 25 giugno 2008
Una nuova storia da raccontare
Non sono di certo uno scrittore, forse un narratore delle mie emozioni. Anche se descrivere cosa è e cosa è stata la Monza Resegone è un po’ come correrla, un’impresa alquanto dura ed emozionante. I motivi sono mille, forse più. Proverò a sintetizzarli in tre, quelli, a parer mio, più importanti. Il primo, quello storico. La Monza Resegone è una classica giunta oramai alla 48esima edizione. Fatta da alpini per gente che anche solo per un giorno vuole provare a sentirsi tale, almeno nello spirito. Si torna indietro nel tempo, ai tempi delle grandi guerre mondiali. La storia la vivi e la senti dentro guardandoti attorno e parlando con chi l’ha vissuta davvero. Il secondo, legato all’avventura. Si corre di notte, scalando e arrampicandosi su un monte, illuminato solo ed esclusivamente dalle poche lampade predisposte dall’organizzazione e dalla propria lampadina frontale. La sfida è arrivare alla capanna, il rifugio degli alpini monzesi. Chi è la su vi è arrivato con le proprie gambe, non esistono possibilità diverse. Riscendere poi, dopo la gara, lungo il sentiero più dolce nel cuore della notte, dove il silenzio è rotto solo ed esclusivamente dai versi e dai rumori degli animali notturni, mentre incomincia ad albeggiare, è spettacolare. Il terzo, il più sentimentale. Il podista è un animale solitario, “nasce, soffre e muore da solo”. Chi gli corre al fianco è comunque un avversario. Non sempre però. Almeno alla Monza Resegone non è così. La gara è a squadre, tre sono i componenti, in tre bisogna arrivare al traguardo. Non contano le individualità, conta solo ed esclusivamente il gruppo. Bisogna essere compatti e procedere uniti. Gli elementi più forti servono ad aiutare ed incitare quelli più deboli. La bellezza è tutta qui. Se non si comprende questo è inutile partecipare ad una gara di questo tipo. Se non si percepisce questa sensazione di appartenenza ad un gruppo, la partecipazione diventa inutile. Aldilà del risultato, del tempo cronometrico, delle sensazioni fisiche vissute. Ciò che conta è la testa e le emozioni che questa ti regala. È meraviglioso riscoprirle nel tempo e riviverle intensamente. Così è stato quest’anno per me, così lo è stato per chi con me ha corso. Due fantastici amici, due atleti spettacolari, due persone con un cuore grande così. Mario Fattore e Lorenzo Trincheri. Il primo due volte campione del mondo della 100 km, il secondo ottavo all’ultima edizione della Marathon des Sables. Non credo sia importante raccontare la gara. Dire che alla partenza non eravamo di certo tra i favoriti per la vittoria, che le squadre preposte al gradino più alto del podio erano senz’altro altre. Non ha senso parlare di tempi e passaggi, come di squadre raggiunte e superate. Non ha valore descrivere la nostra gara in rapporto a quella degli altri. La vittoria è e rimane di sicuro la ciliegina sulla torta, ma la nostra corsa è e rimane paradisiaca aldilà di tutto questo. L’orgoglio non è essere arrivati primi, ma essere arrivati. La gara non ci ha regalato un alloro in più da mostrare, ma una gara “epica” da raccontare ai nipoti quando saremo vecchi e, soprattutto, un’amicizia ancora più forte di prima. Un’unica considerazione sul primo posto, perché nasce da un sentire particolare, che spiega meglio di ogni cosa la gioia di correre in squadra. Mi è capitato altre volte di vincere gare, magari e forse anche più importanti. Ma stranamente ad una sensazione di estrema felicità se ne è sempre accompagnata una di tristezza, quasi di malinconia. È bello essere da soli sul gradino più alto del podio, ma si è soli. Tutta la contentezza è dentro di te, ma non puoi e riesci a condividerla a pieno con gli altri. Anche le persone più vicine e più care non possono in questo aiutarti. Rimangono e sono comunque distanti. La sensazione provata alla Monza Resegone è stata diversa, unica, bella. La mia gioia è stata la gioia di Mario e Lorenzo. Sembravamo tre bambini con un giocattolo nuovo in mano, con una felicità in più nel cuore, con una nuova storia da raccontare.
lunedì 23 giugno 2008
La vittoria più bella
Finalmente è arrivata. Inaspettata e per questo più bella. La vittoria alla Monza-Resegone, gara di 40 km a squadre in notturna. Non ho ora il tempo per scrivere quello che è stato, soprattutto dal punto di vista emotivo. Posso solo dire grazie ai miei due splendidi compagni di avventura, Mario Fattore e Lorenzo Trincheri e posso solo lasciare il resoconto dei tempi, per valutare l’aspetto più propriamente tecnico. Tornerò a scrivere qualcosa, spero, nell’arco della giornata. A presto.
giovedì 19 giugno 2008
Una piacevole sensazione di stanchezza
Finalmente incomincio a sentire una piacevole sensazione di stanchezza. Dopo circa due settimane da quando ho ricominciato a caricare, cercando di doppiare tutti i giorni, il mio fisico sente i segni degli allenamenti e dei chilometri corsi. Inoltre il caldo contribuisce ad accentuare tutto questo, non favorendo il recupero ed aumentando la dispersione dei sali minerali. Nonostante tutto ciò la sensazione che provo è stranamente gradevole e piacevole. Sicuramente perché diversa da quella provata fino ad un mese fa. Infatti se fino a maggio la pesantezza degli allenamenti era dovuta allo stress delle cose extra-corsa, ora la sensazione di stanchezza è dovuta solo ed esclusivamente agli allenamenti fatti. E questo da una parte mi fa ben sperare per il futuro, mentre dall’altra mi fa stare tranquillo con la coscienza perché cosciente del fatto che sto facendo quanto dovuto. Che poi non è altro che un chilometraggio settimanale intorno ai 150 km con l’inserimento di alcuni lavori specifici. Ma mi conosco abbastanza bene per sapere che il mio fisico rende al massimo proprio quando è maggiormente sollecitato. Un esempio su tutti. Oggi pomeriggio ho corso 10 volte i 400 m con un recupero di un minuto da fermo. In diverse prove ho ottenuto un tempo intorno al 1’10”. Sembra impossibile ma meno di un mese fa, con meno stanchezza nelle gambe, riuscivo a correrli a stento in 1’12”. Credo che la via intrapresa sia quella giusta. Sabato sera alla Monza-Resegone avrò una prima piacevole conferma o una scottante delusione.
mercoledì 18 giugno 2008
Provare per credere
Non sono di certo un allenatore. Al massimo un tester di sensazioni in allenamento. Nonostante tutto sono allenatore di me stesso. Questo ha dei vantaggi, ma sicuramente anche tanti lati negativi. Ma preferisco sbagliare da solo, piuttosto che per mano di altri. Con il passare degli anni e con l’accumularsi delle esperienze mi accorgo, sempre più, che mi rimane assai difficile ritenere più valido quanto proposto da allenatori esterni rispetto a quanto possa programmare io. Soprattutto se questi si trovano a centinaia di km di distanza e non possono conoscere la mia realtà quotidiana. Non vuole essere una critica a nessuno, ma solo una costatazione di quello che provo. Aldilà di questo domenica scorsa ho eseguito un allenamento nuovo, diverso e credo inedito. O almeno io non ho avuto conoscenza del fatto che sia stato proposto da altri. I motivi possono essere legati a fattori diversi: la mia mancanza di cultura, la non validità dell’allenamento oppure davvero alla nascita di una novità. Comunque sia il lavoro è stato il seguente: 13 x 1000 m, partendo da un ritmo di 4’00” al km scalando di 5” in 5”. Quindi primo 1000 a 4’00”, secondo a 3’55”, terzo a 3’50” e così via fino ad arrivare a 3’00”. Il recupero, invece, è stato il seguente: 10” al primo 1000, 20” al secondo mille e così via fino ai 2’ dell’ultimo. In poche parole è un allenamento che parte da ritmi blandi e recuperi brevi per arrivare a ritmi elevati con recuperi alti. Questo consente di allenare contemporaneamente sia la parte di resistenza aerobica, sia la parte di miglioramento della velocità di base. Almeno spero e credo. Sicuro è che può essere utilizzato nelle fasi preparazione dalle 10 km alle 100 km. Ciò che cambia sono solo ed esclusivamente la lunghezza della prova, il ritmo ed il recupero. Nel mio caso credo sia un allenamento ottimo per una mezza, ma se si facessero prove di 500 m sarebbe buono per preparare una 10 km, di 1500 – 2000 m una maratona, di 3000 m una 100 km. Ed in più non è particolarmente stressante e, per certi aspetti, è anche divertente. Provare per credere.
venerdì 13 giugno 2008
Da Lunedì 2 a Venerdì 13
Riepilogo i miei allenamenti:
Lunedì 2: Riposo
Martedì 3: Riposo
Mercoledì 4: Matt: 14 km lento; Pom: 14 km lento
Giovedì 5: Matt: 14 km lento; Pom: 14 km lento
Venerdì 6: Matt: 14 km lento; Pom: 14 km lento
Sabato 7: Matt: 14 km lento
Domenica 8: Matt: 24 km lento salite
Lunedì 9: Pom: 14 km lento
Martedì 10: Matt: 12 km lento; Pom: 14 km lento
Mercoledì 11: Pom: 16 km con 4x1000 m + 2x1500 m
Giovedì 12: Matt: 12 km lento con fartlek 4 km; Pom: 14 km lento
Venerdì 13: 9 km lento; Pom: 17 km lento
Cosa ne pensate?
Lunedì 2: Riposo
Martedì 3: Riposo
Mercoledì 4: Matt: 14 km lento; Pom: 14 km lento
Giovedì 5: Matt: 14 km lento; Pom: 14 km lento
Venerdì 6: Matt: 14 km lento; Pom: 14 km lento
Sabato 7: Matt: 14 km lento
Domenica 8: Matt: 24 km lento salite
Lunedì 9: Pom: 14 km lento
Martedì 10: Matt: 12 km lento; Pom: 14 km lento
Mercoledì 11: Pom: 16 km con 4x1000 m + 2x1500 m
Giovedì 12: Matt: 12 km lento con fartlek 4 km; Pom: 14 km lento
Venerdì 13: 9 km lento; Pom: 17 km lento
Cosa ne pensate?
Monza - Resegone
Strano destino quello del podista. Lotta e combatte da solo, perde e vince da solo, “Nasce e muore da solo”. La sua fortuna e anche la sua sfiga più grande. Può esultare per la vittoria più bella o disperarsi per la sconfitta più brutta, ma sempre e comunque da solo. Chi gli è a fianco, sia egli il suo più grande amico o l’amore della sua vita, non può essere parte del suo sentire, delle sue emozioni, delle sue passioni. Sarà sempre un vicino lontano. Nello sport di squadra si hanno e si vivono momenti differenti, fatti, al massimo, di solitudine accompagnata. Si può rimanere soli, ma sempre e comunque all’interno di una squadra. Si gioisce e si piange tutti quanti insieme. E il gioco del singolo, per fortuna o purtroppo, può diventare e decidere il gioco di tutti. Il podista è e rimane un solitario, per scelta o per destino. Sempre, o quasi. Capita infatti a volte, molto raramente, di poter provare un’emozione diversa, atipica, strana, ma per questo più esaltante. Poter correre a fianco di un altro atleta senza che questi sia un rivale, ma un amico da sostenere ed incoraggiare. Perché è anche dal suo risultato che dipende il tuo. È quello che succederà sabato 21 giugno alla Monza-Resegone, gara di 42 km circa che si corre a squadra, a tutti coloro che avranno la fortuna di parteciparvi. Non sarà una staffetta, ma una cronometro per team. Ogni equipe, formata da tre componenti, prenderà il via singolarmente. Le partenze avverranno ogni 30”. Un po’ come capita nei grandi giri a tappe del ciclismo. Ed anch’io sarò tra i fortunati. Soprattutto perché avrò la possibilità di correre in compagnia di due grandi amici, Mario Fattore e Lorenzo Trincheri. Sarà un’esperienza unica e bellissima, soprattutto nell’ultimo tratto del percorso quando si dovrà scalare, mani e piedi, immersi nella notte, il monte Resegone illuminato unicamente dalle torce predisposte lungo i sentieri dagli organizzatori. Arrivare al Rifugio degli Alpini sarà un’esaltante avventura, così come, dopo la gara, riscendere lungo i pendii della montagna ascoltando i rumori della natura e osservando l’imminente alba.
giovedì 12 giugno 2008
"La pioggia nel pineto" di Gabriele D'annunzio
Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove sui pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t'illuse, che oggi m'illude,
o Ermione.
Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitio che dura
e varia nell'aria secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
né il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancora, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immensi
noi siam nello spirito
silvestre,
d'arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.
Ascolta, Ascolta. L'accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall'umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s'allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s'ode su tutta la fronda
crosciare
l'argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell'aria
è muta: ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell'ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.
Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le palpebre gli occhi
son come polle tra l'erbe,
i denti negli alveoli
son come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
( e il verde vigor rude
ci allaccia i melleoli
c'intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m'illuse, che oggi t'illude,
o Ermione.
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove sui pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t'illuse, che oggi m'illude,
o Ermione.
Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitio che dura
e varia nell'aria secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
né il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancora, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immensi
noi siam nello spirito
silvestre,
d'arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.
Ascolta, Ascolta. L'accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall'umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s'allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s'ode su tutta la fronda
crosciare
l'argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell'aria
è muta: ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell'ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.
Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le palpebre gli occhi
son come polle tra l'erbe,
i denti negli alveoli
son come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
( e il verde vigor rude
ci allaccia i melleoli
c'intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m'illuse, che oggi t'illude,
o Ermione.
martedì 10 giugno 2008
Il gioco di un bambino
Sono giorni particolari quelli che sto vivendo. Un po’ perché il clima ed il tempo non decidono di fare il proprio dovere regalandoci il tepore tipico d’inizio d’estate e la gioia e la spensieratezza di correre senza l’assillo degli abiti pesanti e fastidiosi, un po’ perché ho ripreso ad allenarmi con maggiore frequenza e decisione, dedicando un numero più elevato di ore alla corsa. Tutto questo mi produce un forte senso di stanchezza e di dolore muscolare esteso su ogni parte del corpo. In particolar modo a soffrire sono le gambe e la schiena, senza parlare dell’annoso problema al tendine d’Achille sx che ogni volta si ripresenta puntuale, quasi a volermi ricordare che oramai si è affezionato alla mia persona e che non mi lascerà per niente al mondo. Ho provato a convincerlo in ogni modo, ma ogni mio tentativo è risultato inutile e vano. Comunque, aldilà di tutto, non ho intenzione di variare i miei programmi. La parola d’ordine è allenamento, sviluppato sia sulla quantità dei chilometri settimanali che sulla qualità, intesa prevalentemente come recupero della velocità di base. Spero e credo che tutto ciò possa farmi riacquistare una condizione atletica discreta. Al momento, inoltre, non ho fissato appuntamenti agonistici particolari, se si fa eccezione per la Monza-Resegone che dovrei correre sabato 21 giugno in compagnia degli amici Mario Fattore e Lorenzo Trincheri. Ma anche questo non è ancora sicuro al 100% e la risposta definita la avrò solo ed esclusivamente tra qualche giorno. Oltre questo null’altro da aggiungere. Solo un particolare che nulla c’entra con la corsa, ma appartiene alla bellezza del periodo che stiamo vivendo. Ieri sera il prato davanti a casa mia, nonostante il tempo non bellissimo, era pieno di lucciole. Uno spettacolo straordinario, che dura pochi giorni, ma puntualmente torna ogni anno per scandire il tempo e ricordare, almeno a me, gli anni dell’infanzia e quando bambino cercavo di cogliere con la mano queste piccole luci. Le vedevo spegnere nel mio pugno e la gioia era vederle tornare a volare. Nulla di sentimentale era legato a questo gesto, era solo ed esclusivamente il gioco di un bambino. Oggi sarebbe la richiesta al cielo di esaudire un bel sogno.
mercoledì 4 giugno 2008
La mia grande fortuna
Tante, forse troppe, sono state in questi giorni le testimonianze di affetto nei miei confronti. Dico la verità, ne rimango sorprendentemente stupito e affascinato. Tanti i messaggi sul blog, così come le visite sul mio sito. Mai come in questi giorni. Segno di una vicinanza piacevolissima verso la mia persona. Segno di una volontà da parte di molti di avere notizie. Di sapere i motivi del mio ritiro e, forse, soprattutto i segni lasciati sul mio fisico e sulla mia mente. È spettacolare la voglia mostrata di essere vicini ad una persona che ha attraversato un momento non bello, non positivo, deludente. E proprio per questo cercare in tutti i modi di incitarlo, di incoraggiarlo, di spronarlo a non mollare e comunque a riprovarci. Sono tutti questi segnali che mi danno la forza di resistere e di ricominciare. L’ho detto e scritto già. Dovrò avere l’umiltà e la voglia di ritornare alla fatica e di riconquistare la determinazione che ho avuto negli anni passati. So che, imprevisti permettendo, facendo forza sul fatto che i lavori per la casa sono ormai terminati e che le giornate sono lunghissime, posso tornare ad allenarmi seriamente. Ho iniziato da oggi. Erano anni che non mi capitava più di doppiare, ho corso due allenamenti di un’ora ciascuno per un totale di 28 km. Così sarà anche domani. E sicuramente in avvenire. Dovrò mettere sotto pressione il mio fisico e la mia mente. L’obiettivo è la gara del mondiale di 100 km del prossimo 8 novembre. Ma anche tornare a correre una maratona sotto le 2h25’. So che posso farcela. Soprattutto perché ho la grandissima fortuna di avere un gruppo di amici e fans che mi stimano e mi vogliono un mondo di bene. E non perdono mai l’occasione di mostrarmelo, proprio come sta avvenendo in questi giorni. Grazie a tutti.
martedì 3 giugno 2008
Grazie
Alla fine di tutto restano solo le mie parole, perché quello che doveva essere non è stato. Non è stato scritto nulla di importante, nulla che possa rimanere come un bel ricordo, nulla che possa essere raccontato. Non si può raccontare molto a se stessi quando di mezzo c’è un sogno svanito. Un pezzo di gloria rincorso e non raggiunto. Quando non si è portato a termine il compito da svolgere. Quando ai bei pensieri si affianca la durezza dei fatti. Quando la speranza si scontra con la realtà. Ma nonostante tutto si può solo cercare di raccontare perché quello che doveva essere non è stato e quanto rammarico c’è dentro se stessi. È strano quello che mi succede quando mi capita di ritirarmi, come mi è successo sabato scorso o al mondiale, la mia testa non si preoccupa di me, del mio stato, del mio sentire. Vaga e va alla ricerca della sensazione altrui, del pensiero di chi mi è vicino e ha sperato, con me e per me, che le cose andassero diversamente. Il mio sguardo si sofferma ed incrocia quello degli altri e vede dispiacere profondo, quasi delusione e tristezza. Ed allora il compito diventa un altro. Cercare di far capire che nonostante tutto la situazione è sotto controllo e che non c’è rammarico, ma solo ed esclusivamente la razionalità per comprendere quanto successo. Che non c’è motivo di essere preoccupati o delusi o provare dispiacere per me. Che se le cose sono andate in questo modo c’è un motivo preciso e soprattutto che la decisione presa non è stata affrettata, inconsapevole, incosciente. Tutto è, stranamente, pensato e ragionato, nonostante i fatti e le situazioni lascino pensare diversamente. Per questo motivo, questa sera, il mio pensiero vola ancora a chi mi è stato vicino. A chi mi ha seguito. A chi mi ha supportato. A loro dico grazie, perché senza di loro una parte del mio correre sarebbe senza senso, senza motivo, senza scopo. E anche grazie a loro che oggi trovo la forza per andare avanti, per ripartire dal basso, dalla fatica per volare lontano. Almeno con la mia mente. Grazie.
Questa è la mia sfida!
Finalmente trovo il tempo per scrivere qualcosa su quello che è stato, o meglio non è stato, il mio Passatore. Non so bene come cominciare e soprattutto cosa è giusto scrivere o, quantomeno, cosa sia più giusto mettere in evidenza. Proverò a mettere insieme un po’ di parole nel caos della mia mente e delle mie sensazioni. Impresa ardua. L’impressione è la stessa che provavo quando al liceo dovevo fare i temi di italiano. Mi capitava spesso di dare inizio al mio racconto senza sapere bene dove andare a parare, quali sarebbero stati i pensieri espressi e se la mia opinione sarebbe stata “A” o “Z”. Il bello è che alla fine riuscivo comunque a scrivere qualcosa di sensato o, perlomeno, qualcosa che a me pareva tale. Tornando alla gara posso dire quello che è stato dal punto di vista tecnico. Partenza tranquilla intorno ai 4’ al km in compagnia di Giorgio Calcaterra. Stranamente e contrariamente a quanto avrei pensato le gambe sono leggerissime e correre lungo la salita di Fiesole è quasi un piacere. Inoltre il clima mite ed il leggero vento rendono la corsa più agevole. Questo fino al 25esimo km. Poi l’allungo di Giorgio in discesa ed io rimango solo. Meglio così, in modo da poter gestire il mio ritmo a piacimento. Discesa verso Borgo San Lorenzo ed inizio dei problemi, non muscolari, ma di affaticamento. Finalmente inizio della salita verso la Colla. A quel punto le sensazioni incominciano a trasformarsi in neri pensieri. Le gambe diventano macigni da sollevare ed il ritmo si fa più pesante. Vedo il cartello del 40esimo km e, nonostante la seconda posizione ed un passaggio di tutto rispetto in 2h40’ circa, decido di fermarmi. I miei accompagnatori (Gian Luca, Serena, Gianni e Giovanni) mi pregano di ripensarci e provare ad andare avanti. Faccio un ulteriore sforzo, ma la sorte della gara è decisa. Al cartello della maratona tiro i remi in barca e salgo sulla macchina. Il mio Passatore finisce qua. Senza possibilità di ripensamenti e senza rammarichi. La delusione non è sul mio volto, ma su quella di chi mi è vicino. Lo stupore è degli amici corridori che passando mi vedono fermo sul lato della strada. Tutti mi chiedono il perché e tutti mi incitano a ripensarci. Impossibile. La decisione è presa ed è irremovibile. Per quale motivo? Perché non provare ad andare avanti quando le gambe non sono ancora morte e c’è la possibilità che la crisi passi a breve? E soprattutto perché non arrivare almeno sul tratto in discesa per capire davvero se non si può arrivare a Faenza? Conosco la 100 km troppo bene. Così come conosco la fatica e le mie gambe. Inoltre so bene cosa significhi preparare una gara del genere e cosa voglia dire essere preparati fisicamente. Lo avevo preannunciato. La mia condizione non è affatto buona e gli allenamenti sono stati pochi e modesti. Troppi sono stati gli impegni durante la prima parte del 2008. In primis i lavori per la mia nuova casa. So bene che per correre forte ci vogliono fatica, dedizione ed impegno. Nonostante la mia volontà non sono riuscito a fare quello che era dovuto. Non si può pensare di correre una 100 km facendo 70-80 km a settimana. Le gambe non hanno la capacità per reggere uno sforzo tale. E forzare la mano significa solamente arrivare al massacro. Magari giungendo anche a Faenza, ma a quale condizione e a quale prezzo? La 100 km così come la corsa è per me solo ed esclusivamente un bel gioco e tale deve rimanere. C’è poi da aggiungere un altro fattore. Mi rendo conto che le gare di questo livello portano presto ad un esaurimento delle energie mentali. Tutto bene finché si è alle prime esperienze o la condizione fisica è buona. Ma nel momento in cui l’esperienza incomincia a diventare troppa e le gambe non ti sopportano più come dovrebbero, allora correre con la testa diventa davvero difficile. E’ più facile e giustificabile mollare, gettare la spugna, ritirarsi. Almeno per me. Comunque aldilà di ogni cosa e di ogni considerazione restano i fatti. La storia la si scrive correndo, non pensando a come si sarebbe potuto correre. Ma in ogni situazione bisogna aver la forza di trovare l’aspetto positivo. L’elemento al quale agganciarsi per ripartire, senza del quale tutto finisce. Tutto si perde e si disperde. L’obiettivo principale l’ho detto ad inizio anno era e resta il mondiale di 100 km a Tarquinia. Per quell’appuntamento, imprevisti a parte, cercherò con la massima determinazione di essere al top per vivere la gara come una forte emozione da non dimenticare. Per far questo occorre una sola cosa, ritrovare il tempo ed il modo di tornare ad allenarsi con criterio. Inizierò da domani. Questa è la mia sfida. Questo il mio destino. Questo il mio futuro.
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